CLASSICI CONTRO
Proviamo a intuire che cosa può essere l’Europa e che cosa significa essere cittadini europei. Per riflettere ci prenderemo come spunto il cinquecentenario dell’Utopia di Thomas More: sarà un buon libro per meditare sulla nostra utopia europea. E, naturalmente, i nostri tremila anni di pensieri, proprio a cominciare dai classici antichi, forse possono aiutarci.
Il mondo greco e latino è sempre stato permeato di guerre, odi etnici, contrapposizioni violente. Nell’antichità classica, l’Europa era un’espressione geografica dai contorni che si sono progressivamente evoluti nel tempo, a un certo punto la misura del trionfo di un impero in armi, quello romano; e in nessun modo uno spazio di cittadini come noi oggi lo immaginiamo e – sia pur tra mille difficoltà – lo viviamo. Eppure proprio nel mondo antico sono nate alcune fra le immagini e le idee più durature di convivenza felice tra gli uomini, spesso oggi accomunate sotto il segno dell’utopia, o meglio dell’ou-topía, letteralmente ciò che non ha un luogo. Molte volte, la tensione verso quei “non-luoghi” è stata foriera di miglioramenti nella vita quotidiana degli uomini. Se l’Europa unita, per come è costruita oggi, si sta rivelando sempre più un’utopia, forse proprio rimeditare le tensioni ideali che hanno animato gli antichi può spingerci a perseverare in un ideale che sembra sotto scacco. «A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare», diceva Eduardo Galeano.
I classici greci e latini, al solito, non forniscono risposte né modelli. Né ovviamente rivendicano un ruolo privilegiato a danno di altre culture o di altri paradigmi. Ma essi rappresentano un’indubbia radice della nostra cultura, la cui voce può essere specialmente utile nei momenti di crisi. È dalla fiducia in questa dinamica che dipende, in larga misura, la formazione di quelli che saranno un giorno dei veri cittadini europei. (A. Camerotto)